domenica 13 aprile 2008

Davide vs Golia

Un piccolo gruppo di Eschimesi vs i mostri dell’energia globale.

Ultimo appello per Kivalina

Il mare Artico sta per inghiottire le case di una popolazione nativa dell'Alaska. L'erosione è un effetto del cambiamento del clima, e gli abitanti fanno causa alle multinazionali del petrolio: «conoscevano l'impatto delle loro emissioni».

Nove compagnie petrolifere, una società carbonifera e tredici multinazionali dell'energia.
Tutte dovranno difendersi dall'accusa di aver violato i diritti umani dei nativi Inuit della tribù Inupiat abitanti nel villaggio di Kivalina, su una piccola isola nel mar di Chukchi (costa nord-occidentale dell'Alaska). Kivalina è minacciato dall'erosione della costa, effetto diretto dell'innalzamento del livello del mare provocata dal riscaldamento globale dell'atmosfera terrestre. Insomma: gli abitanti del villaggetto costiero saranno costretti tra breve a fare fagotto e ricostruire le loro case su un terreno più sicuro a causa del cambiamento del clima causato dalle corporations energetiche- scientemente, secondo quando afferma l'atto di citazione depositato presso il Tribunale Distrettuale di San Francisco.

Non è ancora detto che il tribunale californiano riterrà ammissibile la causa contro le multinazionali dell'energia, eppure questa iniziativa segna un ulteriore passo nell'escalation giudiziaria a difesa dell'ambiente e per contrastare il riscaldamento globale del clima anche nelle aule giudiziarie. Soprattutto, si potrebbe dire, perché negli Stati Uniti (e in genere in ambiente anglo-sassone) il ricorso alla causa legale è considerato pratica normale, complementare, e a volte sostitutiva, delle battaglie politico-ambientali. E infatti, a fianco dei due studi legali che conducono l'azione, il Center on Race, Poverty and the Environment e il Native American Rights Fund, si sono schierati ben nove avvocati, specializzati in «class-action» soprattutto sul terreno ambientale. Alcuni sono i legali impegnati in un'altra battaglia, quella dello Stato della California versus le grandi società automobilistiche per costringerle ad adeguarsi alle leggi statali sulle emissioni, più severe di quelle federali. Un altro gruppo di avvocati (per conto di Climate Justice) nel novembre scorso ha ottenuto un'altra significativa vittoria, questa volta in un tribunale nigeriano che ha costretto le compagnie petrolifere a cessare la pratica di bruciare il gas che fuoriesce dai pozzi. Sono segnali della forza della categoria degli avvocati nella società e nella politica Usa (sia Obama che Hillary sono avvocati) e del ruolo, a volte anche ambiguo, che svolgono nelle battaglie ambientaliste. Quanto ad ambiguità e contraddizioni, non si può fare a meno di notare che esse attraversano anche le popolazioni native artiche, come gli Inuit. Isolate e povere, prime vittime dei disastri ambientali, le genti dell'Artico si sono spesso trovate al fianco dei movimenti ecologisti «bianchi» in molte battaglie. Ma non sempre. Durissimi nel difendere la pratica dell'uccisione delle foche gli Inuit hanno criticato aspramente la recente decisione del governo americano di inserire gli orsi polari nella lista delle specie minacciate. «Questo impedisce ai cacciatori statunitensi di venire qui e ci privano di milioni di dollari di licenze di caccia», ha dichiarato qualche settimana fa al New York Times Mary Simon, leader della tribu Inuit dei Tapiriit. Alcuni degli Inuit si sono trovati poi ad essere i migliori alleati del presidente George W. Bush quando questi, rovesciando otto anni di severa politica clintoniana a difesa della riserva naturale dell'Alaska, ha permesso la trivellazione petrolifera nell'artico: con Bush e le grandi compagnie petrolifere, contro i fratelli indiani Gwich'in dei Northwest Territories e dello Yukon, appoggiati peraltro dal governo canadese, recisamente contrari a concedere i permessi di esplorazione e di sfruttamento petrolifero delle terre artiche. E' di una settimana fa l'accordo di un'altra tribu Inuit, nel Nunavut (Canada), con una grande società di ricerca mineraria, la Kaminak Gold Corporation di Vancouver, per la concessione della ricerca di uranio in terra tribale. Il mondo Inuit è variegato e attraversato da interessi e bisogni diversi e spesso contrastanti tra di loro. Forse è inevitabile: certo è che la credibilità e le credenziali ambientaliste dei popoli dell'Artico non ne traggono guadagno.
(Il Manifesto)

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