giovedì 5 maggio 2011

Rosso ciliegia

Avete presente il colore lucido e vivido delle ciliegie mature? Quel rosso così carnoso e invitante? 

Ecco, le sue scarpe erano esattamente di quel colore. Non che ami le scarpe con colori particolarmente accesi, anzi, ma quelle assomigliavano a un rosso candito, erano alte, molto, forse troppo ed incredibilmente ipnotizzanti. Il passo era svelto, e la gonna di un giallo spento svolazzava al tiepido vento, sotto ad una camicetta azzurra e a dei fulvei capelli. E’ incredibile quante persone si possa incontrare sui mezzi pubblici. Ed è così bello non restare incastrati sempre tra le stesse facce. Ci sono persone con cui parli appena per due minuti e con le quali ti senti più in sintonia rispetto a gente che “conosci” da una vita. E così è accaduto con Vianne.
In realtà, non conosco il suo vero nome, ma credo che fisicamente le si addica, non so di preciso il perché, le associazione mentali sono incredibili! 

Ero seduta vicino al finestrino mentre, assorta nei pensieri, la mia attenzione si soffermò su quelle scarpe.
 “Però!” dissi a bassa voce. Ci vuole coraggio ad indossare delle scarpe di quel colore con una gonna gialla! Decisamente un’esibizionista.
Proprio mentre stavo riflettendo, la ragazza si fermò, scoccò i tacchi e si girò ruotando su se stessa, guardandomi divertita.
Sicuramente sarà abituata alla gente che la osserva stranita, pensai, chi va in giro vestita in quel modo, non cerca certo di passare inosservato. Così le sorrisi, forse per dimostrarle che non avevo gli stessi pregiudizi delle anziane signore, sedute davanti a me, che la stavano osservando scuotendo la testa.

L’autobus si fermò, e Vianne salì. Senza un attimo di esitazione si diresse verso di me e si sedette nel posto al mio fianco. Sorrise e accennò un bon jour, ricambiai e mi rimisi a guardare fuori dal finestrino, mentre le signore davanti la scrutavano severamente e lei continuava a sorridere. Dopo pochi metri, con la coda dell’occhio vidi che tirò fuori dalla sua piccola borsetta fucsia uno specchio pieno di lustrini e un rossetto dello stesso colore delle scarpe.
“Che tipo”, pensai divertita. Mi ispira simpatia. E Vianne se ne doveva essere accorta, tanto che mi porse il rossetto facendomi il gesto di metterlo. Ringraziai, ma rifiutai decisa. 
Vianne, si mise a ridere rumorosamente.  Poi mi guardò in silenzio. 
Continuava a fissarmi, così mi voltai.
Aveva gli occhi color del miele. Ed un bel volto.
Dato che non accennava a distogliere lo sguardo, interruppi, dicendo che non amavo i rossetti.
Sorrise. 
Poi, con accento francese, esordì: “Voi italiane siete così serie”.
“Ah, sì?” replicai.
“Qui, sai ti stavo osservando da molto prima che tu mi notassi, ti ho vista sul treno, ero seduta dietro di te, ti ho seguita, ma poi ho sbagliato autobus e sono dovuta scendere. Stavi osservando profondamente il paesaggio e avevi un’espressione dolce e severa allo stesso tempo.”
“Mi dispiace, ma non …”.
“Oh, non avresti potuto, te l’ho detto ero seduta dietro di te”. Mi interruppe frettolosamente.
“Giusto … Però conosci bene la lingua italiana, nonostante tu abbia un forte accento francese”.
“Mio padre è italiano, per questo vi conosco bene. Sembrate allegri, ma in realtà siete un popolo estremamente malinconico”.
“E’ vero … Sono d’accordo … ”
“Hai visto, avevo ragione!”
“Sì, okay, ma il fatto che non voglia mettere il rossetto non vuol dire questo” cercai di replicare.
Rise. Poi si avvicinò un po’, rivolse un’occhiata all’ anziana, che continuava a fissarla, come per farle dispetto, ed a bassa voce mi disse : “Non te la devi prendere, sei una persona intensa, lo si vede dallo sguardo, e questo vale più di mille rossetti”. 

La guardai perplessa.

Sorrise, e poi con serietà continuò: “ Essere straordinari non implica essere amati da tutti, anzi, solo chi ha una anima come la tua può capirti … ma se ci pensi è così bello non essere ordinari. E lo puoi mostrare con lo sguardo o con i vestiti … come me”. Poi continuò un po’ assorta : “Ti ho vista mentre aiutavi amorevolmente quella mamma a far scendere il passeggino col bimbo, senza che ti avesse chiesto nulla, e ho visto anche lo sguardo duro con cui hai fulminato quell’uomo che è sceso urtando la madre … Ami la giustizia, si vede”. 

Dovevo avere un’espressione mista tra la curiosità e la perplessità. Cosa voleva questa da me, perché mi aveva osservata così a lungo, e soprattutto, perché me lo stava dicendo come se fosse la cosa più naturale al mondo?
Evidentemente lo sguardo, mi tradì. E il volto  di Vianne, si rabbuiò. “Scusa, mi sono sbagliata, la prossima fermata è la mia, non ti tratterrò oltre”. Disse con tono talmente duro che l’accento francese parve sparito.

“Non devi scusarti, mi sembrava solo …”
“Cosa, strano?” rispose con voce collerica.
Accennando un sì, abbassai lo sguardo, e fu allora che notai le cicatrici che aveva sull’interno dei polsi.

“Il mondo non è fatto per la gente come me”, disse guardando fuori dal finestrino “ e forse neanche per te, ma ti sei omologata bene, brava, a differenza di me hai imparato a sopravvivere …  au revoir”.
Volevo fermarla, ma scese velocemente, mentre stavo ancora elaborando come reagire, guardandola impaurita. La porta si chiuse, e rimasi in piedi mentre osservavo quella gonna gialla svolazzare. Vianne si voltò, e urlò: “Mercì bon bon!”con un bel sorriso. 

Non la rividi per anni. Ma ogni giorno, quando leggevo qualche notizia di cronaca nera, avevo sempre paura di trovare una sua foto e di intravedere quelle scarpette rosse. Che adesso, mi parevano di un color sangue vivo.

La incontrai una sola altra volta. 

Era inverno, stavo correndo sotto la pioggia battente cercando di non rovinare le mie francesine laccate non appena comprate, quando ormai fradicia, nell’entrare nell’ufficio postale, mi bloccai sulla soglia, non appena vidi davanti ai miei occhi quelle stesse scarpe rosso ciliegia.
Alzai lo sguardo. Era lei e mi stava sorridendo.
Aveva tra le mani un pacco. Lo indicò e disse: “Le mie lollipop made in Paris”, come se non fosse trascorso tutto quel tempo e avessimo ripreso la nostra conversazione di anni fa.
Contraccambiai sorridendo, felice di vederla.
Non era cambiata molto, doveva avere sui trent’anni, ma non era vestita come all’epoca. Aveva un tailleur grigio, e solo un po’ di lucidalabbra. Esattamente come me. Unica differenza: nelle scarpe.
“Sei un donna, ormai” mi disse.
“Ma eri già adulta il giorno in cui ti incontrai, e senz’altro più di me. Ero un ragazza viziata e annoiata che vagava per il mondo con la presunzione di chi crede nella sua bellezza e nel fascino delle sue vesti, divertendosi a far parlare di sé “ continuò seria e dolce.
“Sono passati tanti anni … ”
“Sì, ma tutto è cambiato dopo il nostro incontro. Ti osservavo, perché ti invidiavo. Ridevo, perché mi facevi rabbia. Così altera, eppure così giovane, indifferente alle sciocchezze e attenta. Anche io, avevo sempre desiderato essere così, non avere bisogno delle vesti per sembrare straordinaria ...”
La fermai, facendole segno di cedermi la parola. “L’importante è che adesso tu stia bene, e che tu abbia conservato quelle splendide scarpe rosse, che ti ricordano chi eri e come sei” feci una breve pausa, poi proseguii. “E ti assicuro che eri e che sei straordinaria, altrimenti non ti saresti posta il problema, come la maggior parte delle persone. Io non credo di essere speciale e non appaio come tale, perché non ne ho interesse. Solo chi vive con me ogni giorno può dirti se lo sia o meno, non io. E non è detto che lo sia. Magari non appaio tale, perché non lo sono. Mi limito a sentire e a catturare tutto ciò che può riempiermi  l’anima”.

Il suo volto si illuminò e i suoi occhi color del miele, divennero lucidi. “Tu non avevi bisogno del rossetto perché già la tua anima era di un rosso intenso e vivace, il colore della vita che scorre. Mercì bon bon”.
Mi fissò per qualche istante. Poi, corse fuori e iniziò a ballare sotto alla pioggia.

Era finalmente entusiasta della vita.



Martina R.